domenica 9 settembre 2012

Bagna Caoda


Ecco una ricetta della tradizione piemontese della famiglia Baldi (Signora in Rosso – Nizza Monferrato fino al 2009, Relais 23 a Castelnuovo Belbo oggi), alla quale sono grato per aver condiviso i “segreti” per la preparazione di una delle più prelibate e tipiche delle “bagne”, la regina, la Bagna Caoda. È sicuramente una delizia per pochi poiché l’enorme quantità di aglio necessaria la rende sgradita alla maggioranza dei palati più delicati, o meglio ai palati moderni non più abituati a gusti così rustici e contadini. Cosa aggiungere? Che si tratta di un rito prettamente conviviale, da compiere con gli amici. Non è assolutamente possibile mettersi davanti ad un fumante “fuoit” di bagna caoda da soli o in occasione di una romantica cenetta a due! Dunque un piatto autunnale/invernale che non ha eguali in altre regioni italiane. Diversamente da molte tradizioni culinarie condivise come, per esempio, la pasta farcita, la bagna caoda è infatti un piatto piemontese al 100% e non trova ne eguali ne varianti nemmeno nelle regioni limitrofe.
Un solo consiglio. Il giorno “ideale” per accostarsi ad una cena a base di bagna caoda è il venerdì sera: ci sono due giorni per smaltirla prima di rientrare in ufficio…

BAGNA CAODA
Famiglia Baldi, Nizza Monferrato (AT)

Ingredienti

Aglio (una testa per persona pari a 9/10 spicchi)
Acciughe qualità spagnole 100 gr. per c.uno convitato
Olio extravergine di oliva q.b. (50%)
Olio di oliva q.b. (50%)

Preparazione

Prendente l’aglio, sbucciatelo e levategli l’anima. In una casseruola mettete a bollire del latte dove metterete gli spicchi per 2 minuti massimo. Levate l’aglio dal latte e con le rebbie di una forchetta schiacciatelo e mettetelo da parte.
Pulite le acciughe per bene, lavandole sotto l’acqua per togliere il sale, eliminate testa e coda (se presenti) e fatele a pezzetti con un coltello quindi mettele da parte.
In una pentola possibilmente di terracotta mettete tutto insieme: aglio, acciughe e olio (metà e metà) badando a metterne abbastanza da creare una crema ma senza esagerare (altrimenti resterà troppo liquida). Cuocete  a bagnomaria per un massimo di 30 minuti, avendo cura di rigirare la crema ogni tanto con un cucchiaio di legno. La cottura a bagnomaria porterà la temperatura della bagna fino a 75° massimo, impedendo all’olio di friggere. Se volete eliminare anche le lische delle acciughe, passate la bagna in un passaverdura per creare una crema densa e uniforme.
A questo punto servite possibilmente nei classici “fuiot” con fornello accesso per mantenere la bagna calda, intingendo nella crema verdure cotte (bietole rosse, patate etc.) e crude (sedani e, potendo, cardi gobbi di Nizza Monferrato, presidio Slow Food).

Da evitare:
1.      L’uso di minipimer o frullatori.
2.      Bollire l’aglio per oltre 2 minuti.
3.      L’uso di burro.
4.      L’uso di panne.


Poiché si usano quantità di aglio considerevoli, preparare la bagna caoda a casa comporta qualche problema “logistico”… per l’olfatto. Vi consiglio caldamente di contattarmi e sarò lieto di indirizzarvi presso i ristoranti migliori. Non è affatto facile, infatti, trovare un ristorante che offra ancora l’esperienza del rito completo. Quasi tutti si limitano ad offrire un assaggio di bagna caoda su di un peperone arrostito. Il vostro Informatore Enogastronomico è a disposizione!

Il  Cardo Gobbo di Nizza Monferrato, presidio
Slow Food, è il re delle verdure per accompagnare
la bagna caoda!

sabato 11 agosto 2012

Parmigiana di melanzane


Ecco un altro piatto di difficile collocazione regionale. Possiamo dire che, con le dovute varianti, è piuttosto diffuso nel meridione. Inoltre è un piatto ricco ma tipicamente estivo, poiché la materia prima, le melanzane, maturano esattamente in questo periodo. Anche in questo caso siete invitati a postare i vostri commenti, le vostre varianti su questa ricetta qui presentata in versione “campana” e, a fine ricetta, troverete la variante “calabrese” a me molto cara.

Parmigiana di Melanzane
Osteria Nunzia, Benevento

Ingredienti per 6 persone
1,5Kg di melanzane
1 cipolla, 1 ciuffetto di basilico
1,5Kg di pomodori da salsa (o l’equivalente in passata)
6 uova
farina di frumento
6hg di fiordilatte
0,5hg parmigiano reggiano
olio extravergine di oliva, sale q.b.

Tempo necessario: 2h + il raffreddamento

Mondate e lavate le melanzane, tagliatele a fette spesse mezzo centimetro e mettetele sotto sale in un colapasta. Lavate i pomodori, tagliuzzateli e uniteli a un soffritto di olio e cipolla. Cuocete la salsa per una mezz’ora e quindi passatela al passaverdure. Un consiglio: se avete una buona conserva di pomodoro...
Riprendete le melanzane dopo almeno 45 minuti sotto il sale, passatele sotto l’acqua, asciugatele e passatele prima nella farina e poi nelle uova sbattute. Friggetele in olio caldo fino a quando non saranno dorate e poi asciugate l’olio in eccesso con della carta assorbente. Coprite il fondo di una teglia da forno con un pò di sugo di pomodoro, alcune foglie di basilico quindi sistemate uno strato di melanzane accavallandole leggermente e sopra aggiungete uno strato di fior di latte tagliato a dadini. A questo punto prendete un pò di parmigiano precedentemente grattuggiato e mettetene un pochino. Si riparte con il sugo...fino ad esarurire tutti gli ingredienti. Se avete avanzato dell’uovo sbattuto unitelo al pomodoro e coprite il tutto aggiungendo ancora foglie di basilico e parmigiano grattuggiato. Infornare a 170° per circa mezz’ora. Se avete un forno ventilato riducete la temperatura a 150°/160°. Non si serve calda ma tiepida o meglio, a temperatura ambiente.

Variante: in calabria si usa aggiungere fettine di uova sode, salsiccia al finocchio e si sostituisce il parmigiano con il pecorino e il fior di latte con il caciocavallo fresco


Azienda Agricola Visconti - Nizza Monferrato (AT)


Il territorio astigiano offre una varietà incredibile di ricchezze gastronomiche. Questi “tesori” dell’orto venivano trasformati in prelibate conserve dalle nostre nonne e dalle nostre madri, in vista dell’autunno e delle festività invernali. Oggi sono sempre meno le persone che hanno la pazienza e la voglia di cimentarsi con questo genere di lavoro prettamente estivo. L’alternativa ve la presento io: i prodotti dell’azienda agricola Visconti. L’azienda, fondata nel 1970, ha sede a Nizza Monferrato, nella piana del torrente Belbo. Sin dalla fondazione le coltivazioni delle verdure (peperoncini, cardi, pomodori, peperoni, carote etc.etc.) sono effettuate nel rispetto dell’ambiente con lavorazioni del terreno rispettose della natura, con sarchiature e concimazioni organico minerali. La piana del Belbo, di origine alluvionale, è perfetta per questo tipo di coltivazioni, in particolare per il famoso “cardo gobbo”, pregiato ortaggio autunnale principe della Bagna Caoda. Carlo Visconti e sua moglie, coadiuvati da una team molto affiatato di operaie, trasformano tutto questo in sugo del boscaiolo, antipasto alla piemontese, bagnetto verde, peperoncini ripieni con tonno o acciughe e, ovviamente, bagna cauda. Assolutamente da provare la mostarda di cardo gobbo, che si abbina perfettamente con formaggi freschi e semistagionati.
Tutti i prodotti che ho assaggiato sono stati realizzati senza badare a spese, nemmeno sull’olio usato per le conserve, pur di creare un prodotto di altissima qualità.
I prodotti, purtroppo, non hanno una distribuzione capillare nelle gastronomie locali e quindi il suggerimento è di fare un giro a Nizza Monferrato e di fare una telefonata in azienda per verificare la sua apertura.

Azienda Agricola Visconti di Visconti Carlo
Strada Bossola 29
14049 Nizza Monferrato (AT)
tel. 0141/721285 oppure 0141/721026 fax 0141/721026


Le sagre: istruzioni per l'uso


Estate, periodo di sagre. Manifesti affissi per la Nizza (dove vivo, ndr) descrivono i numerosi eventi dei paesi limitrofi: sagra delle trofie, sagra della porchetta, sagra del fritto misto (pesce), festa della birra, sagra dell’agnolotto...
Mi metto nei panni del turista, magari tedesco o danese, che arrivato in Piemonte si trova di fronte ad una festa di paese tutta incentrata sulla mescita di birra, nemmeno artigianale e locale. E come se io mi trovassi a Monaco durante l’Octoberfest e scoprissi che danno da bere del barbera. Ci sono, quindi, diversi motivi per evitare questo tipo di eventi. Sia chiaro: non tutti sono da evitare, occorre distinguere tra la sagra della nocciola di Cortemilia (assolutamente in tema con il prodotto ed il territorio) e la sagra delle trofie al pesto di un paesino dell’astigiano vicino a Nizza (non lo cito per evitare polemiche). Il distinguo lo dovete fare voi, tenendo acceso il vostro personalissimo radar enogastronomico.
Dicevo che ci sono diversi motivi per evitare questo tipo di manifestazioni. Il primo appare evidente a tutti: come può essere il pesto una salsa tipica dell’astigiano? E’ vero che si può fare il pesto ovunque cresca il basilico ma chiunque abbia assaggiato il vero pesto genovese, quello realizzato con il basilico d.o.p. di Prà, conosce perfettamente la differenza. Questo tipo di manifestazioni, quindi, si pongono al di fuori della tradizione gastronomica locale, non sono “tipiche”: punto e basta. La porchetta è uno degli alimenti più utilizzati per realizzare queste feste “fuori tema”, perchè ben si presta ad attirare un pubblico giovane. Non importa se questa viene comprata già cotta e industriale: tanto si presuppone che i giovani non capiscano niente. Volete la vera porchetta? Particolarmente famosa è quella di Ariccia (Roma): si tratta di una scrofa privata di spalle e cosce, cotta senza interiora e disossata completamente. Viene aromatizzata al suo interno con sale, pepe nero, aglio e rosmarino, legata e quindi cotta allo spiedo per 5 ore. Si tratta quindi di una tradizione propria del centro-sud che niente ha a che vedere con il Monferrato.
Vogliamo inoltre dire che queste associazioni, Pro Loco per la maggior parte, non fanno quindi il lavoro di promuovere davvero il “loco”? Se un posto è quindi privo di tradizioni gastronomiche particolari è obbligatorio inventarsene una pur di tirare su qualche soldo? Vogliamo inoltre dire che queste associazioni non sono soggette alle indicazioni sanitarie delle A.s.l. al contrario dei ristoratori veri e propri? Vi fidate davvero di queste “cucine volanti” e di queste persone che, nella stragrande maggioranza dei casi, sono completamente digiune delle norme H.A.C.C.P.? Vero è che ci si può anche intossicare in un ristorante, per carità, ma non venitemi a dire che è più probabile. Mi rifiuto categoricamente di credere che i controlli sanitari non servano a niente (e so che se ne fanno parecchi) ma laddove non vengono fatti, ci dobbiamo fidare ciecamente di chi ci sta di fronte.
Ecco dunque le regole per evitare le sagre “inutili” e potenzialmente pericolose:

  1. Informatevi sulla tradizione gastronomica locale ed evitate tutto ciò che fuoriesce dal “tema”;
  2. Scegliete sempre alimenti ben cotti, evitando i fritti che vengono realizzati spesso con olio di palma, frazionato o, nel migliore dei casi, con olio di semi che ha oltre 20.000Km di percorrenza.
  3. Osservate l’interno dello stand e preferite quelli con le cucine “a vista” dove potete osservare le varie fasi della preparazione. Evitate le cucine “nascoste”.
  4. Osservate gli addetti che devono indossare guanti monouso e cuffie per evitare la caduta di capelli negli alimenti. Evitate inoltre lo stand dove chi è a contatto con il cibo maneggia altro (soldi, taniche di benzina per il gruppo elettrogeno, ecc.ecc.)

Insomma, occhi aperti e se proprio avete voglia di sagra, scegliete con cura, sapendo che ce ne sono alcune molto valide e tipiche che vale veramente la pena visitare.

lunedì 6 agosto 2012

Hell's Kitchen? No, grazie.

Preso dall'insonnia mi alzo alle 04.00 di mattina e accendo la tv. Cosa guardo? Un programma di cucina, no? Per la prima volta decido di guardare il programma «Hell's Kitchen», una sorta di reality di produzione americana e, siccome sono un ragazzo fortunato, è la finale. Al di la della spettacolarizzazione necessaria per un reality mi auguro che si parli davvero di cucina. In effetti qua e la l'argomento viene toccato con serietà ma ovunque prevale la drammatizzazione del momento, necessaria per mantenere il ritmo televisivo. I piatti preparati sono semplicemente figli di una cucina “continentale” e pseudointernazionale priva di un territorio e di materie prime alle spalle. Per esempio, la finalista donna, tale Bonnie, annovera tra i suoi piatti forti le “fettuccine all'Alfredo”. Come variante d'effetto la cuoca aggiunge gamberetti saltati con un po' di peperoncino. E tutti ad applaudire la grande creazione.
Intendiamoci: non voglio cadere nel luogo comune che gli americani non sanno mangiare. Sono stato negli USA e ho mangiato molto bene. Vi dirò di più: in sala ho visto professionalità di gran lunga maggiore rispetto all'Italia. Questo programma, tuttavia, con i suoi eccessi, anche verbali, dell'estroso conduttore, chef Ramsey, non convince appieno. La scelta dei concorrenti, inoltre, è un casting vero e proprio che mette insieme qualche personaggio pittoresco a qualche vero cuoco. La finale, quindi, è tra due veri cuochi...e gli altri sono serviti per allungare il brodo, tant'è che vengono eliminati per aver scotto la pasta o il riso. Roba che nemmeno la mensa aziendale della FIAT...
Insomma, il risultato complessivo non convince. Troppo show e troppo poca cucina. Troppe prove ma poche sfide vere. La cucina proposta ruota intorno a piatti insulsi dove ciò che conta e la cottura e la speziatura. Cumino, coriandolo, dragoncello... Va tutto bene, peró la banalità regna sovrana.Lo chef Gordon Ramsey perchè crea menu’ sempre con la stessa roba in tutte le edizioni ? Ci sono sempre le stesse pietanze, mai una variante: pettini di mare, capesante, Caesar salad , filetto alla Wellington, pollo...
È certamente significativo che un programma del genere, con quel tipo di conduzione e drammatizzazione, non potrebbe "attecchire" in un Paese come il nostro, dove la buona cucina è una cosa troppo seria per farla scadere nella solita americanata.

domenica 5 agosto 2012

Pisarei e fasò


Come tutte le ricette della tradizione popolare in realtà non esiste la Ricetta con la erre maiuscola. Lo stesso piatto viene preparato con varianti più o meno pronunciate a seconda della zona in cui vi trovate...e ognuno dei cuochi vi giura che si tratta della Vera Ricetta! Addirittura alcuni piatti possiedono delle varianti familiari che rendono ancora più difficile l’individuazione di una regola precisa. Questo, per esempio, è il caso dei “pisarei e fasò”, ricetta piacentina che ho imparato ad apprezzare durante un soggiorno di qualche mese in Val Nure. E’ una ricetta “povera” che si realizzava con gli avanzi e con pomodori e fagioli. 
Pisarei e fasò
Osteria dell’Angiolina, Castell’Arquato (PC)
Per 4 persone
Per l’impasto
2 etti di farina di frumento
2 etti di pan grattato
1 bicchiere di latte
Per il condimento
1 hg di fagioli borlotti secchi
1 cipolla e mezza, mezza carota
una costa di sedano, 1 spicchio d’aglio,
un ciuffetto di prezzemolo
una foglia di allora
20g di prosciutto, 20g di lardo
mezzo mestolo di passata di pomodoro
un mestolo di brodo vegetale
una noce di burro, olio extravergine di oliva
sale, pepe q.b.
Senza dimenticare...
una manciata di farina di frumento
un ciuffetto di prezzemolo extra
parmigiano reggiano (abbondante!)
Tempo di preparazione: 2,5 ore + l’ammollo
La sera precedente mettete in ammollo i fagioli in acqua fredda dopo averli asciugati con cura. In un pentolino portare a ebollizione il latte mescolato ad acqua in pari quantità, poi spegnete la fiamma e versate il pan grattato. Trasferite il tutto su di un piano di lavoro e incorporate la farina fino ad ottenere un impasto omogeneo e malleabile. Ricavate dall’impasto cordoncini spessi circa 1cm e tagliateli a pezzetti lunghi come gnocchetti e premendo al centro di ognuno di essi con un movimento rotatorio date la forma leggermente arrotolata che deve ricordare, vagamente, un’orecchietta pugliese. Spolverate i pisarei con un pò di farina per evitare che si attacchino e dedicatevi al sugo.
Scolate i fagioli e lessateli per un oretta (devono restare sodi) con una foglia di alloro e mezza cipolla.
Nel frattempo preparate un battuto con il lardo, il prosciutto e l’aglio, quindi tritate finemente con la carota, il sedano e la cipolla. Fate soffriggere il tutto in una casseruola con olio e burro e unite quindi il prezzemolo tritato, il brodo e la passata di pomodoro. Cuocete a fuoco moderato finché la salsa non inizi ad addensare, poi aggiungete i fagioli con parte della loro acqua e terminate la cottura aggiustando di sale e pepe. Lessate i pisarei in acqua salata scolandoli con una schiumarola appena affiorano (circa un minuto dal bollore), versateli nella padella del condimento e mescolate, togliendo dal fuoco quando il tutto avrà raggiunto una consistenza morbida ma non brodosa.
Servite con una spolverata di prezzemolo tritato e un’abbondante nevicata di parmigiano reggiano oppure, se riuscite a trovarlo, di “grana piacentino”.
Buon appetito!


sabato 4 agosto 2012

da "Bardon" del Belbo (AT)


Recensire un “mostro sacro” come il ristorante “Bardon del Belbo” non è affatto cosa facile. In effetti non c’è guida gastronomica che non ne parli, tutte in toni più o meno entusiasti. Cosa posso aggiungere io di quanto non sia già stato detto e scritto? Poi, però, mi sono domandato quale differenza ci sia tra il nostro blog e le guide e mi sono ricordato che...il lettore del blog può non essere d’accordo con ciò che il blogger scrive e, di conseguenza, esprimere un suo personale giudizio in maniera pressoché istantanea. Quando invece leggete un giudizio su di una guida... non può fare altro che non comprarla più.qwere 
Bene, che dire quindi? Prima di tutto che ci troviamo di fronte alla famiglia Bardon, alla quinta generazione di ristoratori, gente del mestiere. L’anima di questo ristorante sono Gino e suo fratello Andrea e, in cucina, la mamma Anna coadiuvata da un giovane cuoco, Andrea. Per quale motivo si viene da Bardon? Per la cucina? Per l’enorme carta dei vini? Per la professionalità del personale? Per qualunque motivo veniate qua, diciamo che scommettete sempre sul sicuro. Certamente non si viene qui in Valle San Giovanni per provare una cucina piemontese come si suol dire... “rivisitata”. No, qui la cucina è integralmente piemontese, tradizionale e ripetitiva: stagione dopo stagione le pietanze variano a seconda della disponibilità delle materie prime ma la proposta è sostanzialmente immutata.
Cominciamo dal carrello degli antipasti, dal classico vitello tonnato, ad una favolosa insalata russa, ed un interessante carpionata di pollo, verdure e uova (tipicamente preparata nel periodo estivo) oppure un buon cotechino con la fonduta (tipicamente invernale, of course!) e, se non volete sbagliare, ordinate una buona carne cruda di fassona piemontese battuta al coltello. Tra i primi campeggiano i ravioli quadri monferrini, proposti con vari condimenti, così come i tajarin.  In stagione tutti i primi vengono ovviamente proposti con tartufo bianco d’Alba. Personalmente trovo squisiti gli gnocchi con sugo di pomodoro fresco e basilico. Tutta la pasta viene rigorosamente preparata in casa ogni giovedì.
Tra i secondi una citazione a parte secondo me va fatta per le eccezionali costine di maiale al barbera, un piatto semplice ma particolarmente gustoso. Le costine, cotte nel vino, si sciolgono letteralmente in bocca. Se siete in vena di piatti più “leggeri” vi consiglio lo stinco di vitello al forno oppure ancora il pollo alle olive.
Anche tra i dessert la tradizione regna incontrastata: bonet al cioccolato, mattone di canelli oppure le pesche al moscato. Il carrello dei formaggi prevede un’ampia scelta di formaggi piemontesi con qualche escursione fuori regione e vengono sempre serviti con miele e cugnà.
La carta dei vini è immensa, con una profondità davvero importante. Sempre aggiornata, da la possibilità (a chi può spendere) di accostarsi a grandi vini nazionali ed esteri e l’opportunità (a chi ha disponibilità inferiori) di accostarsi a buone bottiglie con ricarichi contenuti. La scelta dei distillati è eccellente... con un unica critica: perchè non fare anche una carta dei distillati?
Si spende circa € 30/40,00 vini esclusi.
Del Belbo da Bardon
Via Valle Asinari, 25
tel. 0141 831340
Chiuso Mercoledì e Giovedì tutto
Ferie: tra dicembre e gennaio e da Ferragosto fino al 22 agosto
Carte di credito: tutte
Suggerita prenotazione nei mesi ottobre/novembre


giovedì 2 agosto 2012

Novità nel blog!

Cari amici,
Piano piano prendo confidenza con le funzionalità del Blog. Da oggi si puó navigare nelle sezioni, cercare una parola chiave nel blog e iscriversi per ricevere via email i post.
Questo blog, ricordatelo, è uno spazio aperto e aspetto i vostri pareri e le vostre segnalazioni.
A presto

Il vostro
“Informatore Enogastronomico ”
Davide Monorchio

Graci


GRACI

Oggi voglio parlarvi di un’azienda siciliana, etnea, di fondazione relativamente recente: l’azienda vinicola Graci di Alberto Graci. Innanzitutto Alberto, che ho il piacere di conoscere personalmente, è un produttore assolutamente al di fuori dell’ordinario  il quale ha deciso, coraggiosamente, di lasciare Milano e il suo lavoro (dopo essersi laureato in economia e commercio) per dedicarsi completamente alla sua terra ed al lavoro di viticoltore. Oddio, direte, ecco qua un altro di quelli delusi dalla città che torna in campagna.... meno male, rispondo io! La passione di Alberto e la competenza di un grande enologo qual’è Donato Lanati ci hanno donato vini di straordinaria fattura e, finalmente, di grande tipicità. Ritengo infatti che la Sicilia, negli ultimi anni, avesse abbandonato la strada del vitigno autoctono (con qualche eccezione) oppure che avesse imboccato la strada dei cosidetti “vini marmellata”, dotati di grandi sensazioni fruttate e morbidezze ma....tutti tremendamente simili.
In contrada Arcuria, a Castiglione di Sicilia, Alberto possiede 18 ettari di proprietà a quota 600 s.l.m. allevati a spalliera con nerello cappuccio, nerello mascarese e carricante. A quota 1000m s.l.m., immersi nelle piante di fico e gli ulivi, troviamo l’altro vigneto...raggiungibile solo con un fuoristrada. Qualche metro più in là e si possono vedere i segni delle colate vulcaniche più recenti e tutta la terra emana un fascino (e un odore) particolare.
Veniamo ai vini. l’Etna rosso quota 600, un nerello mascalese 100%, è potente, frutatto, a tratti vinoso con evidenti sentori di idrocarburi. Sapido al palato ed equilibrato complessivamente è un vero figlio del dio Vulcano. L’Etna rosso, a sua volta, si presenta come una versione più semplice e meno complessa del fratello maggiore “quota 600”. Minerale e fruttato, invece, l’Etna Bianco, che ricorda l’odore della pietra pomice che, da piccolo, solevo raccogliere sulle spiagge di San Gregorio (Reggio Calabria), proiettate dalla potenza del vulcano in eruzione.
Alberto vinifica solo uve di proprietà ed è coadiuvato dalla sorella Elena nella gestione di questa bellissima realtà sicula.
GRACI
Castiglione di Sicilia (CT)
Località Passopisciaro (Contrada Arcuria)
Distributore esclusivo per l’Italia: F.lli Pellegrini S.p.A. Cisano Bergamasco
sito internet: www.pellegrinispa.net





martedì 31 luglio 2012

Arancini di riso



Dopo avervi tentato con gli arancini del Bar Pasticceria Sampolo di Palermo, vi metto quala ricetta della signora Sabina Zuccaro di Siracusa. Ovviamente di questo“piatto” della tradizione sicula ne esistono decine di varianti. Per esempio in Basilicata li ho mangiati in “bianco” ovvero con il riso cotto senza zafferano.Li potete anche fare con prosciutto e mozzarella (gli arancini al burro) oppure con funghi, con gli spinaci o semplicemente con il formaggio. Anche per questo motivo siete invitati a postare le vostre varianti.La forma piramidale è difficile da ottenere, richiede una grande quantità di olio e vi suggerisco quindi di farli a forma di…arancia (da qui, molto probabilmente, il loro nome).
La ricetta proviene da uno dei miei libri di cucina preferiti (Le ricette di Osterie d’Italia, Slow FoodEditore).

Arancini al sugo

Sabina Zuccaro, Siracusa


Ingredienti per sei persone


Un chilo di riso da risotti
4 etti di polpa di maiale in un unico pezzo
una cipolla piccola
5 uova
2 etti e mezzo di pan grattato
2 etti e mezzo di strattu (concentrato di pomodoro)
4 cucchiai di vino rosso
3 etti e mezzo di caciocavallo (ragusano) fresco
un etto di caciocavallo stagionato grattugiato
olio extravergine di oliva, sale
0,30 g di zafferrano, noce moscata

Tempo di preparazione e cottura: 6 ore


Preparazione


In un tegame largo (possibilmente di coccio) rosolate leggermente la cipolla affettata sottile con due cucchiai di olio. Aggiungete la carne di maiale, salate e alzate la fiamma rigirando spesso la fetta fino a quando sarà ben dorata. Versate il vino e fate sfumare, sempre a fuoco vivace;spolverate di noce moscata e togliete la carne dal tegame. Mettete lo strattu(ovvero il concentrato di pomodoro siciliano molto ristretto) [ma un triplo concentrato di pomodoro andrà bene ugualmente], diluite accuratamente con acqua tiepida e rimettete il maiale ne sugo aggiungendo acqua fino a quasi coprirlo.Mettete il coperchio e cuocete a fuoco basso per circa tre ore o comunque finchè il sugo non si sarà addensato (togliendo eventualmente il coperchioverso fine cottura), mescolando di tanto in tanto.
Nel frattempo, lessate il riso in acqua salata non troppo abbondante, in modo che l’assorba completamente durante la cottura. Quando il riso sarà al dente e ben asciutto, aggiungete lo zafferano e il formaggio grattugiato, mescolando delicatamente. Trasferite su una spianatoia e fate raffreddare.
Estraete la carne di maiale e riducetela a filetti;tagliate a pezzetti il cacio caciocavallo; salate e battete le uova in una piccola zuppiera dal bordo basso; spargete il pangrattato su ampio piano dilavoro. Adesso raccogliete un po’ di riso nel palmo della mano, pressatelo e versatevi un cucchiaio abbondante di sugo, qualche filetto di carne, qualch epezzetto di formaggio e ancora un cucchiaio di sugo; ricoprite con un altro pochino di riso e richiudete come si fa con una polpetta. A questo punto passate nell’uovo e quindi nel pan grattato. Procedere così fino a terminare il riso.
Friggete in olio extravergine di oliva bollente finché gli arancini non saranno di un bel colore dorato carico e fateli sgocciolare sulla carta assorbente. Mangiateli finché sono caldi! 

Gli arancini al sugo con formaggio e piselli



La variante "al burro", ovvero con mozzarella e prosciutto

Bar Pasticceria Sampolo - Palermo


Bar Pasticceria Sampolo – Palermo


Visitare la Sicilia è stata per me un’emozione fantastica sotto tutti i punti di vista: il paesaggio, le persone e la grande gastronomia di quest’isola conquisterebbero chiunque. Perché vi parlo di un bar? Perché i bar, nel nostro bel meridione, sono in molti casi in vero tripudio di colori,sapori, eleganza e raffinatezza.
Se capitate a Palermo, per esempio, dovete assolutamente fare una piccola deviazione per un caffè al Bar Pasticceria Sampolo, situato nell’omonima via. Dall’esterno si può confondere con un normalissimo bar di città, con il solito dehor: non fatevi ingannare dalle apparenze ed entrate! L’enorme vetrina del bar accoglie un’esposizione incredibile di gelati, torte, cannoli di ricotta, cassate e preparazioni a base di pasta di mandorle. Il gelato qui si gusta preferibilmente all’interno di una speciale “brioche” rotonda con un bel bottone in cima a mo’ di rosetta. Il barman la taglia in metà e la riempie di delizioso gelato al pistacchio! Con una di queste potete tranquillamente sostituire un pasto completo.
Se le delizie dolci non vi bastano, poco più in là comincia un tripudio di tramezzini, torte salate, brioche salate con insalata e prosciutto crudo stagionato e poi un trionfo di pizze, focacce e gli immancabili arancini dalla loro inconfondibile forma a pera. Li potete trovare qui sia con il ripieno tradizionale di ragù, piselli e formaggio oppure “al burro” ovvero con mozzarella e prosciutto.
Tutto questo, dal dolce al salato, è rigorosamente prodotto nel loro laboratorio, con ingredienti selezionati. Il bar ha addirittura un sito internet (vedi fondo): vi consiglio di contattarli e farvi spedire con corriere espresso un vassoio di arancini da friggere a casa. Me ne hanno regalati dieci durate la mia visita ed il giorno dopo li abbiamo fritti acasa in Piemonte per la gioia dei miei familiari (soprattutto di mio fratello Simone).
Oltre a queste prelibatezze il Bar Pasticceria Sampolo offre all’avventore la possibilità di comperare una buona bottiglia di vino, con una scelta non impressionante ma discreta chespazia dalla Franciacorta, al Piemonte per arrivare ai vini siciliani. Il caffè, poi, è molto buono, denso e cremoso (ammesso che si possa entrare in un tempio del gusto come questo solo per un caffè…).
I complimenti ai titolari dell'attività, Enrico e Carmelo, sono davvero d'obbligo e meritati.

Bar Pasticceria Sampolo

Via Sampolo 244/246
90143 PALERMO
tel. 091 345642 fax 091 345642






lunedì 30 luglio 2012

Ristorantino Tantì - Nizza Monferrato (AT)

Questo è un locale di recente apertura che si basa sull'esperienza maturata dalla famiglia Ghignone nella preparazione del preparato per la farinata (alla quale dedicherò un intero post nel prossimo futuro). Innanzitutto per in non-nicesi: cosa vuole dire Tantì? Non è un sostantivo ne tantomeno un aggettivo ma il nome di un personaggio realmente esistito che potremmo quasi definire storico. Il racconto completo chiedetelo a Bruno quando andrete a mangiare da lui. Per ora vi basti sapere che circa quarant'anni fa il signor Tantì girava per Nizza con una bicicletta e trasportava un prezioso carico da vendere al cartoccio: la farinata! Una foto campeggia nel ristorante a memoria di questo personaggio.
La farinata, comunque, sarà pure un piatto povero ma qui hanno saputo come arricchirlo: provate la variante alle cipolle o ai formaggi. Siete di appetito robusto? Allora prendete una porzione di farinata alla salsiccia oppure al rosmarino!
Trovate che la farinata sia insufficiente? Ottima scelta di antipasti piemontesi, taglieri di salumi e formaggi.
Di recente ho assaporato anche una pizza fatta bene (poca scelta, per carità, ma non siamo propriamente in una pizzeria!).
La scelta dei vini è ampia e di qualità e non mancano le birre artigianali. La scelta dei distillati è limitata.
Per uno spuntino o per una allegra serata tra amici, si rivela sempre una scelta azzeccata. Se prendete due porzioni di farinata ed un tagliere spenderete circa € 15,00 ai quali dovrete aggiungere il bere.

Lo staff di Tantì. Il più alto è Bruno, simpatico e cordiale padrone di casa. A destra, invece, Silvia...la vera anima del ristorantino. Lo scrivo perchè è vero e così la prossima volta mi arriva una porzione di farinata più grande.... :-)

Tantì
Via Pio Corsi 18
Nizza Monferrato (AT)
aperto da lunedì a giovedì dalle 18.00 alle 22.00. Venerdì, sabato e domenica dalle 18.00 alle 01.00. 

Trattoria I Bologna - Rocchetta Tanaro (AT)

Benvenuti a Rocchetta Tanaro, amici miei. E mentre cercate di comperare le "lingue" di Fongo (un consiglio: andatele a comperare direttamente in sede: sono gentilissimi!), fermatevi sulla strada statale e andate a conoscere la famiglia Bologna, titolare dell'omonima Trattoria I Bologna. La vostra esperienza comincerà dall'accoglienza che Carlo Bologna vi riserverà in sala, dal cordiale sorriso di sua nuora Cristina ma, ovviamente, tutto questo è solo l'inizio! Il resto della squadra lavora in cucina: Beppe, (il figlio di Carlo) e Mariuccia (la consorte di Carlo): loro sono il cuore pulsante di uno dei ristoranti (ooops! trattorie!) dove torno sempre volentieri. Sedetevi nel tavolo che da sulla cucina: da li vedrete Mariuccia all'opera mentre prepara la pasta, dai ravioli ai tagliolini qui non si scherza. La cucina è si tradizionale ma con interessanti rivisitazioni. La tradizione qui si coniuga con la ricerca del gusto ma senza pericolosi voli pindarici. Se tra gli antipasti regnano i classici piemontesi, debbo però sottolineare che il loro vitello tonnato roseo mi ha emozionato: una cottura del genere che salvaguarda il gusto e la consistenza della carne è davvero rara da trovare. Gli agnolotti al sugo di arrosto hanno il sapore di quelli di mia nonna e qui si chiude il discorso. E' evidente che la scelta delle materie prime è maniacale. Che dire dei tagliolini? Provate adesso che siamo in stagione quelli con una crema al basilico! Tra i secondi quello che mi ha convinto di più è il filetto di maiale cotto alla pietra, proposto nel periodo giusto, mentre il mio dessert preferito resta sempre il gelato alla mandorla con pesche sciroppate.
La carta dei vini non esiste e in qualunque altro ristorante sarebbe una pecca. Ma qui da Carlo l'ignoranza sul vino (e i suoi costi) è cosa rara da riscontrare in un avventore. Vi consiglio di procedere così:

1. Se conoscete bene i vini: entrate nella sua cantina e scegliete una buona bottiglia. Ne troverete di molto interessanti, con una netta prevalenza del territorio. Fatevi portare la bottiglia al tavolo e...cin cin.

2. Se non siete molto informati sui vini: chiedete a Carlo di guidarvi nella scelta di una buona Barbera d'Asti e vi saprà consigliare al meglio.

Tenete sempre presente che se si viene in un posto del genere lo si fa per godere...e quindi fatelo fino in fondo senza badare troppo a qualche euro in più per il vino (che, per amore del vero, qui trovate con ricarichi molto modesti. Bravo Carlo!E' così che si vende il vino!)
Buona la scelta dei distillati prettamente locali... ma che volete? siamo in Piemonte!
Il costo complessivo per un pasto completo, data la qualità di quello che mangerete, è assolutamente congruo: mediamente € 45,00 vini esclusi.

Se venite qua a cena o pranzo, tuttavia, vi consiglio di venirci con calma per scambiare qualche parola con la famiglia Bologna, con Carlo, Mariucia, Beppe e Cristina. In un mondo di personaggi costruti e fasulli,  loro sono veri fari della gastronomia piemontese.

La famiglia Bologna: a sinistra con grembile rosso Carlo. Seduta vedete Mariuccia con alle spalle Beppe. Alla destra di Beppe sua moglie Cristina. Se mi chiedete il nome dei cuochi giapponesi vi posso solo dire che sono "informazioni riservate"


I Bologna
Via Nicola Sardi n. 4
Rocchetta Tanaro (AT)
Chiuso: martedì
ferie: variabili (generalmente agosto).
Coperti: 60
Carte di Credito: tutte tranne AE
mail to: info@trattoriaibologna.it
web site: www.trattoriaibologna.it
tel. 0141 644600



domenica 29 luglio 2012

La "salama da sugo"


Cominciamo con il dire che non serve per fare sugo...
La prima volta che assaggiai questo insaccato dal nome strano mi trovavo per lavoro nella zona di Ferrara, qualche anno fa. Era una fredda mattina di ottobre e la nebbia cancellava il paesaggio, contribuendo a rendere più spiacevole il clima autunnale. Fu in questo contesto che il mio agente di zona mi propose di degustare questa prelibatezza locale, avvisandomi però che non si poteva prendere altro, vista la “consistenza” del piatto in questione.
Che cos'è dunque la salama da sugo? È un insaccato di carni di maiale preparato nella zona di Ferrara. Si prendono la coppa di collo, la pancetta, il lardo di gola, il fegato e la lingua del maiale. Le proporzioni sono variabili da produttore a produttore ma l' 80% circa e dei primi due tagli citati. Si aggiunge al trito sale, pepe, noce moscata, cannella e chiodi di garofano e infine si bagna il tutto con abbondante vino rosso corposo (probabilmente un san giovese di Romagna). A questo punto sie mette nel budello e la si lega con uno spago in modo da creare 8 spicchi e uno centrale (a mo' di “equatore”) e la si lascia asciugare qualche giorno (se viene prodotta in inverno la si fa asciugare vicino ad una stufa). Viene quindi messa a riposare in locali freschi ed areati esposti a nord per un periodo variabile da 6 mesi a 12 mesi.
E adesso viene il bello. Come si mangia?
Io ho visto che la salama viene avvolta in un telo a mo' di fagotto. Questo telo infine legato ad un bastoncino e quindi immersa nell'acqua bollente per molte ore (addirittura 8!). In questo modo la salama cuoce ma non sbatte contro le pareti della pentola. Altrimenti si romperebbe e farebbe fuoriuscire tutto il suo prezioso contenuto.
Una volta pronta mi è stata servita su di un letto di purè di patate, preparato con abbondante parmigiano reggiano. Si mangia con un coltello mescolando il salume alla purea fumante. Abbinamento consigliato con un San Giovese di Romagna riserva: lasciate perdere i lambruschi per l'occasione.

La salama da sugo ferrarese...


La salama da sugo in cottura con a fianco l'immancabile pure di patate

venerdì 27 luglio 2012

Tajarìn

Che cosa sono? I piemontesi conoscono molto bene questo tipo di tagliatelle ma al di fuori della regione si ritiene (erroneamente) che si tratti solo di una tagliatella più fine e sottile della norma. La sfoglia si prepara mescolando in acqua tiepida farina di grano tenero e uova. Solitamente occorrono cinque uova per ogni chilo di farnina. Si aggiunge un pò di parmigiano reggiano e si tira la sfoglia rigorosamente a mano. Dopo averne fatto una sfoglia sottilissima la tradizione vuole che sia arrotolata su se stessa e tagliata al coltello per farne tagliatelle larghe circa 3 mm ciascuna. Si, avete capito bene: niente macchine!
Si gustano dopo averli appena scottati in acqua bollente con vari condimenti: ragù di salsiccia, al sugo di arrosto, al burro e salvia oppure con il sugo di funghi porcini. Al tempo debito, verso ottobre e novembre, anche con burro e parmigiano e una grattata di tartufo bianco d'alba.

Un indirizzo sicuro per mangiare un buon "tajerìn"? Andate con fiducia a Barbaresco (CN) e dopo aver attraversato il paese giugerete nella piazzetta della torre: li c'è la Trattoria della Torre di Barbaresco, che li serve secondo i canoni della migliore tradizione langarola, con i condimenti classici.
Buon appetito!
Un piatto di Tajerìn o Tajarìn al burro e conditi da una soffice nevicata di "tuber magnatum picum"

Ristorante Violetta - Calamandrana

Violetta – Calamandrana (AT)

Ecco un indirizzo sicuro per i miei quattro lettori di passaggio nel monferrato: prendete la strada che costeggia il torrente Belbo e che unisce Nizza Monferrato a Canelli.Questa valle, Valle San Giovanni, con il suo terreno sabbioso è il paradiso del famoso Cardo Gobbo. A metà strada, dopo aver attraversato orti e frutteti, un cartello stradale vi indicherà il paesino di San Marzano Oliveto. Percorrete ancora un chilometro e sulla vostra sinistra troverete un'autentica trattoria: Violetta. Vi accoglierà Carlo Lovisolo, patron del ristorante dai modi antichi ma sinceri. Vi farà accomodare nell'accogliente sala interna sobriamente arredata oppure nel dehor (un consiglio: meglio sedersi fuori in primavera o nel primo autunno... d'estate è davvero torrido!). Carlo vi illustrerà a voce il menù, imperniato su due cardini: l'assoluta stagionalità della materia prima e il rigoroso rispetto della tradizione culinaria piemontese. Maria, la moglie diCarlo, ci ha deliziato con un classico vitello tonnato e una carne cruda di fassona battuta al coltello e poi con un ottimo e freschissimo aspic di verdure con salsa dimaionese e senape. Dopo due antipasti (il minimo per ogni buon piemontese) abbiamo proseguito con ottimi gnocchi al ragù di salsiccia e un corretto tajarin al sugo di funghi porcini.Un vero cavallo di battaglia è il raviolo quadro monferrino che qualcuno chiama genericamente astigiano, servito con burro e salvia.La pasta qui è rigorosamente fatta in casa ed è una vera poesia.
Tra isecondi abbiamo apprezzato una rolata di coniglio al forno ed uno strepitoso stracotto al barbera, il tutto accompagnato da verdure di stagione appena spadellate. Infine cisiamo fatti tentare con il dessert ed ecco quindi un classicissimo bonet e un semifreddo al torroncino. Nonostante il caldo e il pasto abbondante debbo sottolineare che la cucina di Maria è leggera, con un uso moderato dei condimenti: su tutto predomina la qualità sulla quantità anche se le porzioni non sono assolutamente da dieta dunkan!
La carta dei vini è incentrata sul territorio con una prevalenza netta delle barbere su tutte le altre referenze anche se non mancano referenze di langa (baroli e barbareschi su tutto). Durante la mia visita ho optato per un classico piemontese: un grignolino d'Asti Spertino 2011 che,dato il caldo estivo, Carlo aveva messo al fresco, secondo la tradizione locale che prevede di bere questo vino leggero e tannico alla stessa temperatura di un vino bianco. Ottima anche la scelta di grappe,ovviamente piemontesi, che fanno bella mostra di se nel salottino di ingresso.
Si spendono circa € 30,00 a testa, dall'antipasto al dolce, vini esclusi.

Data visita: 25 luglio 2012

Violetta, Via Valle San Giovanni 1
Calamandrana (AT)
tel. 0141 769011
chiuso martedì sera, mercoledì e domenica sera
ferie: gennaio
Coperti: 60 + 20esterni
Carte di credito:CS, MC, Visa, BM

Aspic di Verdure

Ingredienti:

5 zucchine, 3 carote
4 pomodorini a grappolo
mezzo petto dipollo
3 fette di prosciutto cotto (tagliato non troppo sottile)
un uovo
2 tavolette dipreparato di gelatina
mezzo bicchieredi vino bianco secco,
aceto di vinobianco
olioextravergine di oliva
sale e pepeq.b.

Tempo di preparazione: 1h + 24h per il raffreddamento

Preparazione:

Sciogliete le tavolette di gelatina in un litro di acqua portandola ad ebollizione. Aggiungete due cucchiai di aceto, spegnete e lasciate raffreddare un po', in modo che si rapprenda leggermente.
Intanto lessate le zucchine e le carote e tagliatele di traverso facendone listarelle sottili sottili. Mettete le verdure in un piatto e conditele con olio, sale e aceto (poco di tutto).
A parte fate rosolare il petto di pollo e quando è ben dorato sfumatelo con il vino bianco e terminate la cottura. Conun'affettatrice fatene fettine sottilissime.
Rassodate l'uovo e fate striscioline del prosciutto.
Disponete sul fondo di uno stampo i pomodorini tagliati a metà equalche fettina di uovo. A questo punto fate strati alterni diverdure, pollo e prosciutto. Alla fine ricoprite tutto con lagelatina appena tiepida e “infornate” in frigo per 24 ore.Rovesciate quindi lo stampo e servite in tavola accompagnato con una maionese casalinga mixata con il 50% di senape di digione delicata.
Buon appetito!

giovedì 26 luglio 2012

Mi presento...

Mi chiamo Davide Monorchio e ho una fortuna nella mia vita che molti mi invidiano: viaggio per lavoro. E per lavoro sono "costretto" a frequentare la migliore ristorazione italiana e straniera. Questa fortuna (ma, credetemi, è anche una grossa fatica) la devo alla famiglia Bocchino, proprietaria dell'omonima distilleria. Nel lontano 2002, Carlo Micca Bocchino mi propose questa professione, propose ad un giovane neolaureato senza la minima esperienza di girare il mondo per proporre il meglio della distillazione della famiglia Bocchino: la Cantina Privata. Da allora ho avuto l'occasione di conoscere i più grandi chef del mondo stranieri (Alain Ducasse, Paul Bocusse etc.etc.) e ovviamente italiani (Aimo e Nadia, Enoteca Pinchiorri, Alfonso Iaccarini...solo per citarne alcuni).
Ora ho deciso di condividere con la rete la mia esperienza, senza fini commerciali. I locali che troverete recensiti non sono necessariamente miei clienti. Se trovate, quindi, qualche punto sul quale dissentire fatelo pure, replicando (educatamente) ai miei post, cercando di evitare frasi del tipo "io non mi sono trovato bene", le quali non significano niente. Piuttosto specificatene il motivo (cameriere scortese, piatto mal cucinato o giunto freddo, carta dei vini "fasulla").
Un blog ha tanto più successo quanto più obiettivo ed oggettivo è il blogger ma, soprattutto, equilibrato nei suoi giudizi. Per questo motivo non pubblicherò mai una recensione negativa. Se mi sono trovato male in un ristorante... non ci torno più, punto e basta.
La valutazione si estenderà alla carta dei vini e, udite udite, all'offerta dei distillati. Troppi ristoranti, infatti, con la scusa che la grappa deve essere offerta, scelgono prodotti "discutibili". Penso che un ristoratore bravo che faccia bene da mangiare sia tenuto a mantenere la stessa qualità nei vini e nei distillati. Ovviamente questa è solo un'opinione e sarò sempre disponibile al dibattito.
Con affetto,

Davide Monorchio
Informatore enogastronomico

PS: questo blog lo dedico a mia nonna Filomena, scomparsa lo scorso febbraio. A lei, vera cuciniera, che ha allevato schiere di nipoti e pronipoti con i suoi arrosti e i suoi ravioli. A lei che mi ha insegnato che anche la cucina è un modo per esprimere amore e affetto. Sarai sempre nel mio cuore.

Davide